Il Maracuoccio di Lentiscosa

maracuoccio-legume-farinaIl Maracuoccio di Lentiscosa, appena riconosciuto come presidio Slow Food, è un piccolo legume considerato l’antenato della cicerchia, e la cui area di produzione coincide con l’omonima frazione di Camerota, nella parte meridionale del Parco Nazionale del Cilento e Vallo di Diano.

Simile al pisello ma dalla forma squadrata, il suo colore oscilla fra il verde scuro, il marroncino e il rossastro, spesso screziato o marmorizzato; e il suo sapore è amarognolo. Questo legume si raccoglie a fine giugno, ma si usa tutto l’anno sotto forma di farina.

Le origini

Il maracuoccio ha origini molto antiche, come testimonia l’etimologia del nome: la radice “mar”, di origine semitica, fa riferimento al sapore amaro; e “cuoccio” indica il baccello, quindi baccello amaro. La sua presenza come leguminosa selvatica è legata ai paesi del bacino mediterraneo, ma anche al Caucaso e all’Asia centrale. Il ceppo di origine è un gruppo di leguminose che fa capo al genere Lathyrus, quello della comune cicerchia. In particolare, il maracuoccio si identifica nel Lathyrus cicera, collocato tra Francia e Penisola Iberica agli albori dell’agricoltura. Per secoli questo legume è stato coltivato sui terreni più soleggiati e calcarei, e utilizzato come alimento per il bestiame o come fonte proteica per le popolazioni povere e per i momenti di carestia.

La coltivazione

Oggi sono appena sei le famiglie di Lentiscosa che continuano a coltivare il maracuoccio, per una superficie che si aggira intorno ai tre ettari e una produzione annuale di pochi quintali. La coltivazione, che avviene ancora oggi nel rispetto della tradizione, è manuale e non prevede l’uso di fertilizzanti, diserbanti o altri prodotti chimici di sintesi. I coltivatori  preparano il terreno nel mese di ottobre-novembre, seminano da gennaio a marzo e raccolgono a partire dalla fine di giugno, quando i piccoli baccelli raggiungono la completa essiccazione e sono quindi pronti per essere battuti. Le piantine – che sono molto basse e somigliano a quelle dei ceci – si estirpano, si fanno essiccare, si adagiano su un telo e si battono facendo uscire i semi. La molitura avviene presso i mulini della zona.

La valorizzazione oggi

Attualmente la limitata produzione viene venduta ai ristoratori locali e, per il resto, utilizzata per il consumo familiare. Ma ora che è arrivato il riconoscimento di maricuoccio2Slow Food, l’intenzione del presidio è quella di ampliare la produzione, coinvolgere nuovi giovani e creare una rete locale di ristoratori che si impegnino a promuovere il prodotto tipico.

L’utilizzo più noto del maracuoccio in cucina è quello della maracucciata, la “polenta del Sud”, una ricetta ottenuta cuocendo una farina composta per metà appunto dal maracuoccio e per l’altra metà grano, ceci, farro, favino e cicerchie. Il tutto insaporito con olio extravergine di oliva, crostini di pane, cipolla, aglio e peperoncino, per un piatto semplice ma completo dal punto di vista nutrizionale.

Ma il maracuoccio è protagonista anche di un’altra pietanza della tradizione cilentana, i cicci maritati o cuccia: una zuppa mista di legumi che per tradizione veniva preparata nei paesi del Cilento in alcune giornate simboliche o propiziatorie (inizio primavera, primo maggio, giorno dei defunti) e a cui oggi è dedicata una rinomata sagra, che si svolge nella località di Stio a fine agosto. 

 

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